PAOLA PRESCIUTTINI

Museo tecnico navale, La Spezia

 

 

Il Museo Tecnico Navale di La Spezia conserva una ricca collezione di polene. In primo piano la polena
della N.S. ‘Cristoforo Colombo’.

Una polena particolarmente interessante, di fattura napoletana; rappresenta uno dei Ciclopi che, secondo la mitologia greca, erano i fabbri degli dei e abitavano nei visceri dei vulcani siciliani: il loro ansimare e i colpi sordi delle incudini fanno rumoreggiare i vulcani della Sicilia e il fuoco della loro fucina arrossa la vetta dell’Etna, anticamente detto Mongibello, come l’omonima nave napoletana attiva intorno al 1840.

    Acquistato dai Piemontesi, il Mongibello fu ridenominato  Monzambano  e divenne la prima nave idrografica del Regno, alle dipendenze della Commissione  idrografica diretta dal comandante Imbert.

      L’Unità si trovò, alla metà dell’Ottocento, al centro di una vicenda tanto misteriosa quanto affascinante – l’affondamento del Polluce – dai possibili risvolti politici di notevole rilevanza storica, e dall’immenso potenziale artistico e museale. 

        Il 17 giugno 1841 il piroscafo postale Polluce, appartenente all’armatore genovese Raffaele Rubattino, in navigazione da Napoli a Genova, fu speronato dalla nave napoletana Mongibello e affondò in meno di mezz’ora con tutti i suoi beni al largo dell’isola d’Elba, dove il relitto giace ancora ad una profondità di circa 100 metri, danneggiato e depredato da una grave recente “incursione”.

          Le persone a bordo, circa 80 tra passeggeri ed equipaggio, riuscirono a salvarsi, tutte meno un marinaio, trasbordando sulla Mongibello, per essere sbarcate a Livorno, pressoché nude.

            Gli atti del processo di Livorno sono invece rimasti sconosciuti  finché, una ventina di anni fa, non si sa come, sarebbero stati scovati e copiati da un subacqueo francese, che li avrebbe venduti ad una società inglese. Di fatto, il titolare di quest’ultima, pur non essendo uomo di mare, raggiunse Genova con svariati amici nel gennaio del 2000, noleggiò una motonave attrezzata con grande benna e, dopo aver presentato regolare richiesta alle Autorità italiane per recuperare il relitto di una nave mercantile inglese, la “Glean Logan“, affondata da un sommergibile durante la prima guerra mondiale in tutt’altra posizione, si collocò invece sul relitto  del Polluce e cominciò le operazioni di recupero, tirando su a caso con la benna tre tonnellate almeno di detriti, per setacciare il materiale alla ricerca di preziosi.

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Dopo 21 giorni il gruppo di Inglesi ripartì con il bottino, valutato in seguito intorno al milione e mezzo di Euro (monete d’oro e d’argento, monili dei primi  dell’Ottocento, vasellame, cristalli e orologi).

  Alla Capitaneria di Porto italiana dichiararono di aver trovato la nave britannica che cercavano, e di aver recuperato pochi preziosi e un po’ di materiale. Diversa la versione fornita alle autorità inglesi, alle quali affermarono di aver trovato molto materiale, ma su una nave affondata in acque internazionali (circostanza, questa, che garantisce la proprietà del recupero nel caso che nessuno accampi diritti).

 Il ricco bottino stava per essere messo all’asta da una nota galleria londinese, ma alcuni sospetti degli addetti ai lavori e i controlli incrociati tra le autorità portuali italiane, Scotland Yard e i Carabinieri preposti alla tutela del patrimonio, hanno portato all’arresto dei ‘pirati’, i quali però hanno ottenuto impunità in cambio della restituzione del maltolto, che è stato consegnato alle Autorità italiane.

L’intera vicenda, da quella lontana infausta sera del 17 giugno 1841 alla recente incursione piratesca, è stata raccontata in un libro di Enrico Cappelletti e di Gianluca Mirto, L’oro dell’Elba, operazione Polluce, tra le opere finaliste del PREMIO CASINO’ SANREMO ‘LIBRO DEL MARE’, seconda edizione 2005.

Una polena nordica è Atalanta, di cui Giorgio Batini racconta la storia misteriosa e torbida. Il mistero la avvolge fin dal suo ritrovamento in pieno Atlantico da parte delle pirocorvetta Veloce nel 1866, poiché nessuno sa quale sia stata la sorte della nave alla quale era appartenuta. Sembra che, immediatamente dopo il recupero, fosse stata collocata nel Museo Navale di Genova e fosse stata poi spostata in quello di La Spezia quando la città, ultimata la costruzione dell’arsenale, divenne sede del Primo Dipartimento Marittimo nel 1870. La scultura lignea rappresenta una donna ammantata di un peplo, con un seno scoperto, e leggenda vuole che abbia il potere di sedurre gli uomini e indurli a morire d’amore e disperazione. Corre voce che questo destino avesse avuto per primo, in quei giorni lontani, il custode del museo che, innamoratosi della polena, era rimasto per giorni ad ammirarla prima di togliersi la vita. Un episodio analogo fu registrato dalla stampa nel secondo dopoguerra, in relazione a un soldato tedesco di stanza a La Spezia. Questi, affascinato dalla polena, era andato molte volte a contemplarla e alla fine, non riuscendo a staccarsi da Atalanta, l’aveva addirittura sottratta dal museo per portarla nella propria abitazione in città. Un giorno un suo commilitone, andato a casa dell’amico, lo trovò morto ai piedi della polena, in mano un biglietto con il quale spiegava di avere offerto a lei la propria vita.

La tradizione militare sarda è documentata dalla polena della fregata sarda ‘Beroldo’ – varata nel 1827 nei Cantieri Della Foce di Genova – dedicata al capostipite dei Savoia,  rappresentato in elmo e corazza, nell’atto di sguainare minaccioso la spada.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Di produzione austriaca è la polena della fregata ‘Bellona’ – era questo il nome della dea romana della guerra – che nel 1848  tenne testa in Adriatico alle navi italiane: è una statua di  dimensioni contenute, dalle belle fattezze d’ispirazione classica.

Polena raffigurante un antico cantore con la cetra gallese, della nave ‘Cambria’ per trasporto di truppe.

Presso i Cantieri Della Foce di Genova fu varata – nel 1828 – la fregata sarda ‘Euridice’, la cui elaborata polena è forse attribuibile allo stesso scultore che scolpì quella del ” Beroldo “.

Decorazione prodiera della corazzata austriaca ‘Drache’, che partecipò alla battaglia di Lissa. Inidonea per forma della prua alla collocazione di una polena tradizionale, il nome minaccioso della nave e la sua aggressività vennero accentuate dalla raffigurazione di un drago spaventevole.

La polena Italia dell’omonima fregata sarda – ex napoletana Farnese, impostata a Londra nel 1860 -rappresenta una figura femminile nell’ atto di spezzare le catene della servitù.

reEma

 

Polena raffigurante Vittorio Emanuele II, del vascello “Re Galantuomo”, precedentemente chiamato “Monarca” e appartenente alla Marina napoletana. E’ probabile che in origine la polena raffigurasse il Monarca, ossia Ferdinando II di Borbone, che ne aveva ordinato la costruzione nel 1846. Era un vascello da 80 cannoni, varato nel 1850, e non svolse attività di rilievo: alla fine del 1860 fu trasformato in pirovascello, nel 1863-64 trasportò a New York l’equipaggio destinato ad armare la pirofregata corazzata “Re d’Italia”, nel 1866 fu a Lissa ma, per le sue scarse qualità belliche, non partecipò attivamente alle operazioni.
(Da Formicola Antonio e Claudio Romano, Vascelli napoletani …, in Rivista Marittima, marzo 1987)

Museo tecnico navale, La Spezia

 

 

Il Museo Tecnico Navale di La Spezia conserva una ricca collezione di polene. In primo piano la polena
della N.S. ‘Cristoforo Colombo’.

Una polena particolarmente interessante, di fattura napoletana; rappresenta uno dei Ciclopi che, secondo la mitologia greca, erano i fabbri degli dei e abitavano nei visceri dei vulcani siciliani: il loro ansimare e i colpi sordi delle incudini fanno rumoreggiare i vulcani della Sicilia e il fuoco della loro fucina arrossa la vetta dell’Etna, anticamente detto Mongibello, come l’omonima nave napoletana attiva intorno al 1840.

    Acquistato dai Piemontesi, il Mongibello fu ridenominato  Monzambano  e divenne la prima nave idrografica del Regno, alle dipendenze della Commissione  idrografica diretta dal comandante Imbert.

      L’Unità si trovò, alla metà dell’Ottocento, al centro di una vicenda tanto misteriosa quanto affascinante – l’affondamento del Polluce – dai possibili risvolti politici di notevole rilevanza storica, e dall’immenso potenziale artistico e museale. 

        Il 17 giugno 1841 il piroscafo postale Polluce, appartenente all’armatore genovese Raffaele Rubattino, in navigazione da Napoli a Genova, fu speronato dalla nave napoletana Mongibello e affondò in meno di mezz’ora con tutti i suoi beni al largo dell’isola d’Elba, dove il relitto giace ancora ad una profondità di circa 100 metri, danneggiato e depredato da una grave recente “incursione”.

          Le persone a bordo, circa 80 tra passeggeri ed equipaggio, riuscirono a salvarsi, tutte meno un marinaio, trasbordando sulla Mongibello, per essere sbarcate a Livorno, pressoché nude.

            Gli atti del processo di Livorno sono invece rimasti sconosciuti  finché, una ventina di anni fa, non si sa come, sarebbero stati scovati e copiati da un subacqueo francese, che li avrebbe venduti ad una società inglese. Di fatto, il titolare di quest’ultima, pur non essendo uomo di mare, raggiunse Genova con svariati amici nel gennaio del 2000, noleggiò una motonave attrezzata con grande benna e, dopo aver presentato regolare richiesta alle Autorità italiane per recuperare il relitto di una nave mercantile inglese, la “Glean Logan“, affondata da un sommergibile durante la prima guerra mondiale in tutt’altra posizione, si collocò invece sul relitto  del Polluce e cominciò le operazioni di recupero, tirando su a caso con la benna tre tonnellate almeno di detriti, per setacciare il materiale alla ricerca di preziosi.

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Dopo 21 giorni il gruppo di Inglesi ripartì con il bottino, valutato in seguito intorno al milione e mezzo di Euro (monete d’oro e d’argento, monili dei primi  dell’Ottocento, vasellame, cristalli e orologi).

  Alla Capitaneria di Porto italiana dichiararono di aver trovato la nave britannica che cercavano, e di aver recuperato pochi preziosi e un po’ di materiale. Diversa la versione fornita alle autorità inglesi, alle quali affermarono di aver trovato molto materiale, ma su una nave affondata in acque internazionali (circostanza, questa, che garantisce la proprietà del recupero nel caso che nessuno accampi diritti).

 Il ricco bottino stava per essere messo all’asta da una nota galleria londinese, ma alcuni sospetti degli addetti ai lavori e i controlli incrociati tra le autorità portuali italiane, Scotland Yard e i Carabinieri preposti alla tutela del patrimonio, hanno portato all’arresto dei ‘pirati’, i quali però hanno ottenuto impunità in cambio della restituzione del maltolto, che è stato consegnato alle Autorità italiane.

L’intera vicenda, da quella lontana infausta sera del 17 giugno 1841 alla recente incursione piratesca, è stata raccontata in un libro di Enrico Cappelletti e di Gianluca Mirto, L’oro dell’Elba, operazione Polluce, tra le opere finaliste del PREMIO CASINO’ SANREMO ‘LIBRO DEL MARE’, seconda edizione 2005.

Una polena nordica è Atalanta, di cui Giorgio Batini racconta la storia misteriosa e torbida. Il mistero la avvolge fin dal suo ritrovamento in pieno Atlantico da parte delle pirocorvetta Veloce nel 1866, poiché nessuno sa quale sia stata la sorte della nave alla quale era appartenuta. Sembra che, immediatamente dopo il recupero, fosse stata collocata nel Museo Navale di Genova e fosse stata poi spostata in quello di La Spezia quando la città, ultimata la costruzione dell’arsenale, divenne sede del Primo Dipartimento Marittimo nel 1870. La scultura lignea rappresenta una donna ammantata di un peplo, con un seno scoperto, e leggenda vuole che abbia il potere di sedurre gli uomini e indurli a morire d’amore e disperazione. Corre voce che questo destino avesse avuto per primo, in quei giorni lontani, il custode del museo che, innamoratosi della polena, era rimasto per giorni ad ammirarla prima di togliersi la vita. Un episodio analogo fu registrato dalla stampa nel secondo dopoguerra, in relazione a un soldato tedesco di stanza a La Spezia. Questi, affascinato dalla polena, era andato molte volte a contemplarla e alla fine, non riuscendo a staccarsi da Atalanta, l’aveva addirittura sottratta dal museo per portarla nella propria abitazione in città. Un giorno un suo commilitone, andato a casa dell’amico, lo trovò morto ai piedi della polena, in mano un biglietto con il quale spiegava di avere offerto a lei la propria vita.

La tradizione militare sarda è documentata dalla polena della fregata sarda ‘Beroldo’ – varata nel 1827 nei Cantieri Della Foce di Genova – dedicata al capostipite dei Savoia,  rappresentato in elmo e corazza, nell’atto di sguainare minaccioso la spada.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Di produzione austriaca è la polena della fregata ‘Bellona’ – era questo il nome della dea romana della guerra – che nel 1848  tenne testa in Adriatico alle navi italiane: è una statua di  dimensioni contenute, dalle belle fattezze d’ispirazione classica.

Polena raffigurante un antico cantore con la cetra gallese, della nave ‘Cambria’ per trasporto di truppe.

Presso i Cantieri Della Foce di Genova fu varata – nel 1828 – la fregata sarda ‘Euridice’, la cui elaborata polena è forse attribuibile allo stesso scultore che scolpì quella del ” Beroldo “.

Decorazione prodiera della corazzata austriaca ‘Drache’, che partecipò alla battaglia di Lissa. Inidonea per forma della prua alla collocazione di una polena tradizionale, il nome minaccioso della nave e la sua aggressività vennero accentuate dalla raffigurazione di un drago spaventevole.

La polena Italia dell’omonima fregata sarda – ex napoletana Farnese, impostata a Londra nel 1860 -rappresenta una figura femminile nell’ atto di spezzare le catene della servitù.

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Polena raffigurante Vittorio Emanuele II, del vascello “Re Galantuomo”, precedentemente chiamato “Monarca” e appartenente alla Marina napoletana. E’ probabile che in origine la polena raffigurasse il Monarca, ossia Ferdinando II di Borbone, che ne aveva ordinato la costruzione nel 1846. Era un vascello da 80 cannoni, varato nel 1850, e non svolse attività di rilievo: alla fine del 1860 fu trasformato in pirovascello, nel 1863-64 trasportò a New York l’equipaggio destinato ad armare la pirofregata corazzata “Re d’Italia”, nel 1866 fu a Lissa ma, per le sue scarse qualità belliche, non partecipò attivamente alle operazioni.
(Da Formicola Antonio e Claudio Romano, Vascelli napoletani …, in Rivista Marittima, marzo 1987)