La città di Genova è cinta alle spalle da una fettuccia di pietra grigia, ormai corrosa, che corona i colli come antica testimonianza di eleganza e di potenza insieme, scendendo al mare in aspri bastioni scoscesi. Il lento snodarsi della muraglia, lungo il crinale inclinato, è interrotto da forti solitari, spesso arroccati in un rapido salire di speroni e contrafforti su cime nevralgiche, tacita minaccia verso le valli retrostanti. Sono immensi e maestosi ma immoti e spenti come tutte le vestigia di un passato dimenticato.
La cinta delle cosiddette “Mura Nuove” – a distinguerle dalle “Mura Vecchie” cinquecentesche – fu completata nel 1633, fortificata con bastioni e orecchioni raccordati da cortine, così rispondendo pienamente alle esigenze difensive della Città per oltre un secolo. Quando Genova dovette tuttavia respingere l’assedio austriaco del 1746, si ripresentò l’esigenza di strutture difensive atte a sostenere l’attacco di armi pesanti: nei suoi punti nevralgici furono innalzati possenti baluardi, cardini di un rinnovato sistema difensivo, che dominavano ambo i versanti del crinale che cingeva alle spalle la Città.
Tra questi, il Forte Castellaccio, riedificato su di un precedente impianto trecentesco più volte potenziato nei secoli, ad accompagnare nel tempo la storia della Città. Si legge in Monumenti pubblici della città di Genova, di G. Banchero (Genova, 1856), che: “Questo era dapprima un gran torrione edificatovi dal genovese governo per difesa della città e delle valli, essendo situato sulla cresta dei monti che dividono questa vallata del Bisagno al lato orientale della città. Ne fu ampliata la fabbrica circa il 1818; in seguito fu arricchito di altre opere che lo rendono assai più importante, tanto più per la dominazione che ha sulla città e perché protegge la superior parte della vallata detta del Lagazzo, dove sono situate le fabbriche di polveri ed i magazzini di deposito delle medesime.”
Fin dal Cinquecento, su uno sperone a sud del Forte, si stagliava cupo il “quadrato delle forche” – come attestano antiche incisioni – dove venivano eseguite le esecuzioni capitali dei condannati rinchiusi nel Forte. Precedentemente le forche si trovavano presso la Lanterna, sul Capo Faro (promontorio di San Benigno), secondo l’antica tradizione che collocava i luoghi di supplizio alle porte delle città.
Dopo l’annessione della Repubblica al Regno di Sardegna, il Forte subì trasformazioni radicali che fecero del comprensorio una cittadella fortificata, atta ad ospitare una guarnigione a difesa delle mura, ma contemporaneamente pronta a stroncare insurrezioni da parte della popolazione locale.
Le innovazioni più significative comportarono l’erezione della Torre Specola, sul “quadrato delle forche”, cui seguirono, tra il 1823 e il 1836, la rampa d’accesso al comprensorio e una muraglia verso mare, interna quindi alla cinta secentesca, che riuniva in un unico complesso difensivo autonomo le due fortezze.
Attraverso un maestoso portale si accedeva alla cittadella dalla strada militare, appositamente ampliata, che tuttora si dirama dalla Via del Peralto.
La Torre Specola fu innalzata nel precedente sito delle forche tra il 1817 e il 1823: autori passati e presenti concordano su queste date, che trovano peraltro riscontro nei rilievi del Corpo Reale del Genio: mentre non compare sulle planimetrie eseguite alla fine del 1700 dal colonnello Giacomo Brusco, ingegnere militare del Genio, un disegno del 1818 mostra la caratteristica facciata meridionale e una planimetria del 1823 riporta la pianta dell’edificio con il rilievo del terreno circostante. Entrambi gli elaborati sono conservati presso l’Istituto storico e di cultura dell’Arma del Genio militare (ISCAG), a Roma.


Portale di accesso al comprensorio del Castellaccio, in una foto d’epoca
Pianta della città di Genova, 1815, mura del 1536 e del 1632 (IIM)
Dopo l’annessione della Repubblica al Regno di Sardegna, il Forte subì trasformazioni radicali che fecero del comprensorio una cittadella fortificata, atta ad ospitare una guarnigione a difesa delle mura, ma contemporaneamente pronta a stroncare insurrezioni da parte della popolazione locale.
Le innovazioni più significative comportarono l’erezione della Torre Specola, sul “quadrato delle forche”, cui seguirono, tra il 1823 e il 1836, la rampa d’accesso al comprensorio e una muraglia verso mare, interna quindi alla cinta secentesca, che riuniva in un unico complesso difensivo autonomo le due fortezze.
Attraverso un maestoso portale si accedeva alla cittadella dalla strada militare, appositamente ampliata, che tuttora si dirama dalla Via del Peralto.
La Torre Specola fu innalzata nel precedente sito delle forche tra il 1817 e il 1823: autori passati e presenti concordano su queste date, che trovano peraltro riscontro nei rilievi del Corpo Reale del Genio: mentre non compare sulle planimetrie eseguite alla fine del 1700 dal colonnello Giacomo Brusco, ingegnere militare del Genio, un disegno del 1818 mostra la caratteristica facciata meridionale e una planimetria del 1823 riporta la pianta dell’edificio con il rilievo del terreno circostante. Entrambi gli elaborati sono conservati presso l’Istituto storico e di cultura dell’Arma del Genio militare (ISCAG), a Roma.


Rilievo del 1823, volto a definire pertinenze private adiacenti alle mura
Pianta e prospetto del comprensorio

Planimetria ottocentesca,
conservata a Roma presso il
Museo dell’Istituto Storico e di Cultura dell’Arma del Genio (ISCAG)
Si tratta di una massiccia torre a tronco di piramide, dalla pianta ottagonale irregolare, che tuttavia evidenzia un’armoniosa simmetria nel susseguirsi delle otto facce.
Su ciascuno dei quattro prospetti meridionali si stagliano due ordini di aperture per bocche da fuoco, affiancate da due coppie di feritoie per fucileria. All’altezza del coronamento si protendono, in corrispondenza delle cannoniere, le caditoie appoggiate su coppie di mensoloni allungati verso il basso e divaricati, che accentuano l’aspetto possente e minaccioso della fortezza.
Sulla facciata sud-occidentale si intravede – seminascosto da un casotto in muratura di costruzione risalente più o meno alla metà del secolo scorso – l’archivolto dell’ingresso principale, incorniciato da due “lesene” rastremate verso l’alto e sormontate da un architrave aggettante, sul quale si apre un lunotto a tutto sesto.


A sinistra l’ingresso originale della Torre. Oggi si accede attraverso un’angusta porticina sulla facciata di ponente
L’interno si articola su due piani correnti e su di sottostante locale interrato, in origine adibito a polveriera, evidente nella figura a destra (Roma, ISCAG).
I vani perimetrali, a pianta trapezoidale, su entrambi i piani si aprono su uno spazio intermedio, costituito da due ambienti binati a forma quadrangolare smussata agli angoli. La struttura delle volte è costituita da robusti costoloni incrociati che assorbono l’intero carico e lo trasferiscono sui sei massicci pilastri articolati della Torre.


Robusta struttura delle volte e dei pilastri
Un elemento singolare è rappresentato dai pozzetti verticali che mettono in comunicazione i diversi livelli con la polveriera nei fondi, e quindi servivano probabilmente per il rapido rifornimento delle munizioni, essendo la scala di comunicazione a chiocciola – ricavata in aderenza al muro perimetrale della Torre – angusta e ripida.


Scaletta interna
Pozzetti al centro di ciascun solaio
Le pareti interne sono rifinite in intonaco liscio, mentre il paramento esterno è in mattoni rossi a faccia vista. La presenza del mattone e la struttura stessa del torrione largo e possente, non solo contrasta con le circostanti precedenti fortificazioni in pietra grigia, ma caratterizza il manufatto come testimonianza di architettura militare piemontese, una delle poche rimaste a Genova. Sulla terrazza di copertura corre un coronamento rappresentato da un alto parapetto con cannoniere, da cui, oggi … si gode una magnifica vista della Città.


La Torre apparteneva, infatti, a un ulteriore sistema difensivo realizzato dagli ingegneri militari sabaudi, composto da svariate torri concettualmente affini, erette in punti nevralgici delle alture, rivolte al controllo delle vallate come di eventuali insurrezioni interne. Di queste, oltre alla Specola, si sono mantenute in buono stato di conservazione solo le torri di Quezzi e di San Bernardino, sebbene abbandonate. La Specola, invece, fu data in concessione all’ Istituto Idrografico della Marina all’indomani della sua fondazione, che nel 1875 creò un osservatorio magnetico a pochi metri di distanza dalla Torre, costruendo appositamente un casotto di muratura.
Nel 1908 fu inoltre attivato il servizio meteorologico dell’Istituto Idrografico e fu pertanto costruito uno specifico osservatorio – che rappresentò una delle stazioni fisse della rete meteorologica nazionale – sulla terrazza di copertura della Torre, abbandonato negli scorsi anni Settanta, quando venne a cessare quel servizio, assunto dall’Aeronautica.
La Torre era familiare ai Genovesi per l’ancora oggi ricordato “sparo del cannone di mezzogiorno”. Fin dalla fine dell’Ottocento, infatti, l’Istituto Idrografico provvedeva alla determinazione, conservazione e distribuzione dell’ora alle navi in porto e alla Città. Così, mentre dispositivi diversi azionavano dall’Istituto sistemi di segnalazione dell’ora e cronometri distribuiti in punti nevralgici della Città, fin dal 1875 un congegno elettrico comandava direttamente dall’Istituto Idrografico – situato a mezza costa, nel Forte San Giorgio – lo sparo del cannone, collocato in un casotto sul muro di cinta verso la Città, a sud-est della Torre. Tale consuetudine venne a cessare con lo scoppio della seconda guerra mondiale.


La Torre da Levante
fine dell’Ottocento
(collezione privata)
Lo sparo del cannone: era mezzogiorno non quando si sentiva il colpo ma quando si vedeva la nuvoletta di fumo

La torre in posizione dominante sulla città di levante
Negli ultimi decenni del Novecento la Torre è stata adibita a deposito perché – venute meno le menzionate attività di ricerca dell’Istituto Idrografico – la sua posizione decentrata e il processo di naturale decadimento ne hanno sconsigliato un uso più consono al valore storico e monumentale del manufatto.
Ora l’intero comprensorio è di fatto inagibile in seguito all’installazione di mastodontici impianti di telecomunicazioni.
Le foto presenti sono state scattate alla fine degli anni Novanta, in occasione di trasferimenti di materiali.